Pisa, Archivio storico diocesano, Fondo San Matteo, pergamena n. 483.
Le fasi di scrittura
Le diverse fasi di scrittura
Le operazioni di scrittura si sono svolte in fasi differenti, che corrispondono a diversi stadi di elaborazione della planimetria (per la cui successione si veda qui più oltre). Due distinte scritture, riconducibili però, con tutta probabilità, ad una stessa mano operante non oltre la metà del XIII secolo, sono state adoperate per la stesura definitiva e per una prima e provvisoria redazione, quest’ultima annullata poi da successive, estese rasure.
Per la stesura definitiva è stata adoperata quella che i paleografi di un tempo avrebbero definito una ‘minuscola di transizione’ di modulo grande, posata, a lettere tendenzialmente staccate, con qualche ricercata e non necessaria angolosità. Per la prima e provvisoria stesura è stata invece adoperata una minuscola di modulo assai ridotto, morfologicamente più semplice e con qualche spunto di corsivizzazione.
Nella scrittura di modulo maggiore si evidenziano la a di tipo librario, sempre diritta; la d perlopiù diritta, anche se seguita da lettera tonda, e solo eccezionalmente onciale come ai nn. 4, 141 e 241; la c che non chiude, se non occasionalmente, sulla lettera successiva; la e con occhiello chiuso da un sottile tratto obliquo, spesso terminante con un uncino rivolto verso l’altro; la f e la s diritte, per lo più poggianti sul rigo (in posizione finale la s è regolarmente tonda); la i, sempre sormontata, anche in posizione isolata, da un sottile apice; la m e la n spesso con il primo o i primi due tratti verticali completati da un sottile appoggio orizzontale sul rigo; la p, a sua volta, completata da un trattino di appoggio a conclusione dell’asta discendente; la r, quasi sempre diritta, completata in alto da un sottile tratto obliquo a prosecuzione della parte sommitale, spezzata; solo eccezionalmente la r è tonda, in forma di 2, qualora preceduta da o, come in fornarii al n. 211; si segnala la possibilità, tuttavia spesso non attuata dallo scrivente, di elisione del primo tratto di i, m, n, u se precedute da c, f, g, r, t; abbastanza caratteristico anche il rigido e artificioso legamento st, con asta della t eccedente il tratto sommitale, curvo, della s (a titolo di esempio, si veda il n. 187); la congiunzione et è di solito interamente espressa, mentre solo eccezionalmente si fa uso della nota tachigrafica in forma di 7; caratteristico, e privo di riscontri, a mia conoscenza, nelle scritture librarie coeve di area toscana, il segno abbreviativo utilizzato per segnalare il troncamento in sep(ulcrum), verticalizzato e molto simile ad una i; da notare il regolare impiego del trattino di rinvio a capo, nonché l’uso del punto a conclusione di ciascun titulus; è infine da segnalare l’impiego, al n. 187 (per indicare l’esatto posizionamento della parola astracaioli, che s’intende far seguire, non precedere, Gerardi) di segni di rinvio tipicamente librari.
La scrittura di modulo piccolo
La scrittura di modulo piccolo, adoperata per annotare in prima battuta i nomi dei sepolti e per indicare elementi di inquadramento topografico, è sostanzialmente riconducibile allo stesso modello ed è talora realizzata con maggiore posatezza (come nei nn. 16, 88, 159, 239), talaltra in modo più corsivo (nn. 56, 86, 166); in generale, il modulo assai piccolo fa sì che vi risultino assenti o appena accennati i giochi di chiaroscuro e le spezzature così caratteristici della scrittura di modulo maggiore. Sul piano morfologico sarà qui da notare l’alternanza di a libraria e corsiva. Di andamento più spiccatamente corsivo, per quanto è possibile giudicare dalle poche tracce superstiti, le annotazioni quasi interamente erase ai nn. 250 e 252. Solamente nell’integrazione al n. 18 si può ipotizzare l’intervento, almeno parziale (de Baldovino), di una diversa mano, più avvezza a usi documentari. Sicuramente da attribuire a mano diversa da quella principale, più inesperta e in evidente impaccio nell’imitare la scrittura di modulo maggiore, la somma di correzioni al n. 226.
Due inchiostri diversi
Due diversi inchiostri
Nel redigere i nomi dei sepolti sono stati apparentemente utilizzati due inchiostri diversi, uno bruno-rossiccio, l’altro nerastro (quest’ultima tonalità si riconosce più facilmente ai nn. 1-39; 41-56; 63; 76-80; 88; 188; 191; 193; 198-204; 209-226; 239; 259-270). Più difficile esprimere un giudizio sugli inchiostri utilizzati per vergare le annotazioni riconducibili alla prima stesura, specie se accuratamente erase. Tra quelle non erase, appaiono sicuramente realizzate con inchiostro più scuro le nn. 27, 30, 33, 37, 248, 253; tra quelle erase, di cui sopravvivono però tracce apprezzabili, le nn. 205, 206, 207, 208, 210, 212, 213, 215, 217, 219, 222, 224, 229, 233, 234, 236. I cambi di inchiostro potrebbero fornire indicazioni di massima su pause e riprese di scrittura riferibili, grosso modo, ai raggruppamenti sopra indicati dai quali si evince facilmente come l’inchiostro nerastro sia stato utilizzato prevalentemente per le file di sepolture addossate ai bordi sinistro e inferiore. È inoltre da notare come siano stati disegnati con inchiostro nerastro tutti gli elementi architettonici (archetti, colonne, tratto doppio probabilmente inteso a segnalare un muro perimetrale sulla destra). Un inchiostro rosso è stato adoperato per tracciare le linee rette che delimitano gli spazi di sepoltura. Soltanto in due casi, a giudicare dalle labili tracce superstiti, sembrerebbe essere stato adoperato lo stesso inchiostro rosso per annotazioni di modulo piccolo, poi erase (143, 179). È stato infine adoperato un inchiostro verde per i dodici ‘spicchi’ disposti radialmente all’interno dell’elemento decorativo circolare collocato più o meno a un terzo della larghezza della membrana.
L'allestimento
Il succedersi di più fasi nell’allestimento della planimetria
Al di là dei cambi di inchiostro, comunque, si può riconoscere agevolmente, nell’allestimento della planimetria, il succedersi di più fasi. Questa successione va riferita a porzioni più o meno ampie di pergamena che vennero preliminarmente delimitate da righe tracciate a secco e poi via via coperte da scrittura, da righe rosse delimitanti gli spazi sepoltura e, eventualmente, da disegni. In prima battuta si è evidentemente proceduto nel tirare a secco lunghe righe di generale inquadramento dello spazio grafico, con l’utilizzo di strumenti diversi: a punta semplice o a punta doppia (in questo caso con passo diverso, rispettivamente di 2 oppure 1 mm).
Risultano tracciate a punta doppia (passo 2 mm) tre righe di inquadramento parallele al bordo sinistro della membrana (rispettivamente a distanza di mm… dal bordo sinistro), e due righe parallele ai bordi inferiore e superiore (rispettivamente a distanza di mm… dai bordi). Righe semplici corrono parallele ai bordi superiore e destro (rispettivamente alla distanza di mm … dal bordo superiore e mm … dal bordo destro); altre due righe singole, intersecantesi in basso ad angolo retto poco più a destra rispetto al centro della pergamena, delimitano approssimativamente, insieme alle righe doppie tracciate in prossimità dei bordi sinistro e superiore, un quadrato al cui centro è collocato l’elemento circolare (chiaramente riconoscibile il forellino prodotto dal compasso (a mm … dal bordo sinistro e mm… dal bordo superiore).
In riferimento a queste righe ‘portanti’ sono stati successivamente individuati, con inchiostro rosso, i riquadri delimitanti le sepolture. Alcune minori partizioni sono tuttavia identificate, nella parte superiore, esclusivamente da righe tirate a secco con strumento a punta singola, oppure doppia (di passo pari a 1 mm): si vedano, in particolare, i nn. 101, 104, 109, 110, 116, 117. Altre righe a secco sono state tracciate, presumibilmente in tempi successivi, come base per la scrittura, via via che si procedeva nel ricopiare i tituli definitivi (simili righe sono chiaramente visibili, ad esempio, ai nn. 5, 7, 14, 76, 78, 89, 91, 93, 123, 130, 132, 133, 220, 230). Sembrerebbero invece disegnati a mano libera, senza l’ausilio di linee preincise, tutti i riquadri che delimitano le sepolture comprese, sulla destra, all’interno dello spazio che gli elementi architettonici proiettati sul piano (archi, colonnina) e il probabile muro perimetrale sembrano definire come ‘porticato’. In una fase successiva alla rigatura a secco, ma forse prima che venissero tracciate le linee di partizione in rosso, sono state annotate, in corpo minore, le titolarità delle sepolture, come anche le indicazioni di «vacat» sopravvissute anche in fase di stesura definitiva. Alcune tra queste annotazioni (si vedano in particolare i nn. 120, 124, 126, 129, 137, ma anche, in misura minore, i nn. 250, 258, 260), accuratamente erase, sembrerebbero piuttosto estese e articolate. In linea di massima però le annotazioni erase si direbbero corrispondere, semplicemente, a quella che, nelle intenzioni dallo scrivente, non doveva essere nient’altro che una prima e provvisoria registrazione dei nomi dei sepolti poi destinati alla rasura man mano che, dopo una verifica, le titolarità venivano portate ‘in pulito’, in scrittura di modulo maggiore.
Le scritte preparatorie
Nella maggior parte dei casi tali scritte preparatorie non sono più leggibili, stante l’accuratezza con cui sono state eseguite le operazioni di rasura (in molti casi è possibile solamente individuare l’area, abrasa, originariamente coperta dalla scrittura, magari intuendo l’orientamento di questa grazie a minime porzioni di aste sopravvissute oppure, semplicemente, perché l’annotazione inizia prendendo come punto di riferimento, ad esempio, un elemento ‘forte’ come il bordo di un riquadro posizionato sulla sinistra). Nei casi in cui però la scritta preparatoria sia ancora leggibile, interamente o parzialmente, il rapporto con le scritte definitive appare evidente: così ai nn. 57-58, 60-70, 61-71, 62-72, 67-73, 68-74, 69-75, 105-106, 111-112, 180-181, 215-216, 221-222, 237-238, 249-250. In alcuni casi le scritte preparatorie non appaiono all’interno dello stesso riquadro in cui figura la scritta definitiva, ma in riquadri per lo più contigui, ma in alcuni casi anche distanti, a riprova del fatto che chi ha allestito la planimetria ha comunque verificato e corretto ‘sul campo’ eventuali errori di posizionamento occorsi nella fase del primo rilevamento (così i nn. 56-65, 86-89, 197-199). Le linee rosse che delimitano i riquadri (tracciate a penna, si direbbe, piuttosto che a pennello: si vedano, per ben riconoscibili tracce dello strumento scrittorio, i nn. 42, 51, 166, 169, 173) sono state comunque realizzate prima delle scritte definitive, come risulta evidente dal fatto che l’inchiostro dei tituli di modulo maggiore si sovrappone, in alcuni casi, al rosso dei riquadri (si veda, per un esempio particolarmente evidente, il n. 82).
La non erasione di VACAT
VACAT
Non sono state erase, come si è già detto, le numerose indicazioni di «vacat», destinate probabilmente ad essere eliminate solo nel momento in cui, eventualmente, spazi sepolcrali già predisposti avrebbero trovato una destinazione definitiva. Non è infine possibile stabilire con precisione in che momento siano state vergate le indicazioni utili per l’inquadramento topografico, esterne alla griglia definita dalle lunghe linee rosse (nn. 16, 88, 239): verosimilmente si è proceduto alla loro stesura (con inchiostro nerastro) in una fase iniziale, di orientamento preliminare della pergamena. Probabilmente anche dopo la fase di ‘messa in pulito’ delle titolarità, la planimetria è stata ulteriormente sottoposta a revisione e sono state apportate ulteriori correzioni, realizzate con tecniche diverse, miranti o a meglio definire identità e attributi dei personaggi sepolti, oppure finalizzate a una più precisa definizione dei rapporti topografici tra gli spazi sepolcrali. Sembrano rispondere alla prima esigenza le correzioni ai nn. 18 (con riscrittura su rasura, cancellatura per mezzo di tratti di penna, aggiunta interlineare), 166 (con aggiunta interlineare), 187 (con l’impiego di rimandi di tipo librario per ricomporre l’esatta successione delle parole), 226 (con riscrittura su rasura); appaiono evidentemente vòlti ad una migliore resa spaziale e topografica l’inserimento dello stesso n. 18 tra i nn. 14 e 17, nonché la complessiva ridefinizione dei riquadri in una zona molto ‘affollata’ come quella compresa tra i nn. 167 e 171 (con lo spostamento della sepoltura di tale Uberto). In quest’ultimo caso lo scrivente ha provveduto all’eliminazione, per mezzo di rasura, della linea rossa che originariamente delimitava lo spazio sepolcrale e alla cancellazione, tramite sottile tratto di penna, del nome del sepolto erroneamente inserito in un’area che non gli era propria. Analoghi interventi sui riquadri in rosso, eliminati per rasura, sono evidenziabili in vari punti della pergamena: si vedano, ad esempio, la linea erasa tra i nn. 132 e 170, oppure le linee erase in corrispondenza dei nn. 177 e 178, oppure ancora gli interventi in corrispondenza dei nn. 224-226, 230-231, 235-237, 241-248 oppure, infine, quello nell’area immediatamente al di sotto dei nn. 97-100, con vistosa rasura che interessa non solo la linea rossa che inizialmente demarcava il riquadro cassato, ma anche due tratti incrociati originariamente utilizzati, con tutta evidenza, per ‘cancellare’ (in senso proprio) quello spazio sepolcrale erroneamente delimitato. Tracce di un’ulteriore revisione sono ravvisabili nei brevi tratti di penna, trasversali o obliqui, che risultano accostati ad alcuni riquadri (così ai nn. 13, 46, 70, 123, 128, 141, 162, 187, 199, 214, 247, 249) probabilmente per marcare il punto cui di volta in volta era giunto un controllo delle titolarità.
Il verso
Sul verso
Sul verso sono apposte alcune annotazioni. La più antica: «Ricordi delle sepulture antiche del monastero» è attribuibile a una mano duecentesca che ha tracciato brevissimi regesti volgari anche sul verso di numerose altre pergamene del monastero (dalle più antiche fino a quelle datate agli anni ‘60 del secolo XIII); la circostanziata annotazione: «Carta nella qual col disegno di decto monistero sono designate tucte le sepulture et tombe che sono in quello et nella nostra chiesa de San Matheo colle soprascripture de’ nomi de patroni di ciascuna. Facta antiquamente come si vede» può essere attribuita alla stessa mano tardo quattrocentesca che poco più sotto ha scritto: «101» (si veda Carratori p. 30); forse ancora alla stessa mano si può attribuire l’iscrizione monumentale, in lettere capitali, più disegnate che scritte, che corre parallela a tutto il bordo destro: «L. numero 101 disegno del nostro monastero».